Il PIL e i suoi fratelli

di Mirko Lombardi

“Il benessere di una nazione può a malapena essere desunto dalla misurazione del reddito nazionale” Simon Kuznets

Lo sentiamo pronunciare continuamente, ovunque e da chiunque.


È al centro del dibattito politico ed economico ed il suo aumento trova tutti d’accordo, perfino forze politiche opposte. Viene posto come problema, obiettivo e soluzione, panacea di tutti i mali. È il famoso

PIL (prodotto interno lordo). Quanto i cittadini ne sappiano in concreto e soprattutto quanto in realtà siano interessati alle dinamiche di un concetto così tecnico non è difficile da intuire: poco o nulla. La complessità del PIL non è sicuramente facile da comprendere, quindi vi chiederete se c’è un modo semplice e diretto per sapere come va il nostro mondo, il nostro paese, la Regione o la Provincia. C’è, ed è accessibile a tutti.

Senza entrare nel merito di che cosa è il PIL, come si misura e a che cosa ci serve, è però necessario annoiarvi con alcune premesse:

  • il PIL è uno “strumento”della politica, non è un fine;
  • è preciso, affidabile (sempre in fase di aggiornamento) e riconosciuto globalmente, quindi ci piaccia o no, ci serve e ci è estremamente utile;
  • lo stesso Simon Kuznets, considerato l’inventore del PIL, ne ha sottolineato i limiti e la natura strumentale, dichiarò infatti al Congresso degli Stati Uniti:“…il benessere di una nazione può a malapena essere desunto dalla misurazione del reddito nazionale”. Insomma, non è il PIL a sentirsi Dio in terra, siamo noi che lo rendiamo tale;
  • difficilmente troviamo ambiti dove il PIL non influisce pesantemente nelle nostre vite quotidiane, anche lo svago e l’umore ne dipendono (parchi pubblici, spiagge, impianti sportivi, biblioteche, cinema, sagre…). Che lo vogliamo o no, “lui” c’è quasi sempre.

La grande questione e il dibattito scientifico

Luigi Di Maio, attuale Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico (dicastero importantissimo per la vita economica di un paese), tempo fa ha dichiarato in merito alla TAV: “gli indicatori spread e PIL non sono indicatori della vostra felicità, gli indicatori sono i sorrisi dei vostri familiari”. Sebbene per chi si interessa di economia questa frase può sembrare bizzarra, demagogica e al limite ridicola (al sottoscritto ha strappato un sorriso ironico), essa non è del tutto campata per aria. La complessità del tema, che non può evidentemente ridursi a un mero calcolo statistico dell’aumento dei sorrisi (quantità) e dell’intensità delle risate (magari in decibel) è, infatti, al centro del dibattito economico e politico contemporaneo in Europa, soprattutto dal punto di vista scientifico (matematico e statistico). Per gli addetti ai lavori si pone un dilemma enorme. Ebbene sì, un parco giochi genera sorrisi, ma la vendita dei biglietti genera PIL. Il problema è che grazie al PIL viene costruito il parco giochi, e quindi anche il PIL genera sorrisi. Più PIL più sorrisi.

La questione esistenziale è dunque: possiamo vivere di sorrisi sottovalutando il PIL o possiamo pensare al PIL tralasciando i sorrisi? Posta in questo modo ci troveremmo di fronte al classico dilemma dell’uovo e della gallina. Dal punto di vista scientifico la domanda più corretta sarebbe: se il PIL può generare sorrisi, i sorrisi possono generare PILSe sì, da cosa dipendono questi sorrisi, come generano ricchezza e soprattutto come misurarli? Risulterebbe estremamente noiosa la descrizione dei documenti approvati dagli organismi politici e istituzionali, nazionali e internazionali, sull’argomento. In particolare possiamo citare il CNEL [1], il CESE [2] (Comitato Economico e Sociale Europeo) e l’ISTAT [3]. Vale la pena però citarne uno in particolare: “La Commissione Sarkozy”, dalla quale tutto ebbe inizio e che, al di là dei contenuti, sottolinea come il dibattito sul tema “oltre il PIL” sia non solo accettato e riconosciuto, ma soprattutto istituzionalizzato e formalizzato. Nel 2008, infatti, Nicolas Sarkozy (ex Presidente della Repubblica Francese), ha istituito una commissione ad hoc, composta da economisti di spicco (Sen, Stiglitz e Fitoussi), con l’intento di istituzionalizzare il dibattito sul superamento del PIL  e la necessità di inserire indicatori di misurazione del benessere “economico” che tenessero conto di concetti come “sostenibilità, benessere sociale e beni intangibili” [4]. Il premio Nobel Stiglitz ritiene che queste variabili potranno (e dovranno) influire sui tassi di crescita e sul finanziamento degli Stati. Attenzione però! Togliamo immediatamente di mezzo un possibile equivoco. Tutto ciò non ha nulla a che fare con le varie teorie della “decrescita”. Anzi, tutt’altro: questi nuovi schemi rappresentano un tentativo di stimolare la crescita economica attraverso nuovi indicatori. Il fine è il progresso e la crescita economica. Nella grande casa del benessere economico convivono il PIL e i suoi fratelli dove il PIL non muore affatto, ma gioca il ruolo di fratello maggiore.

Ma di cosa stiamo parlando e a cosa ci serve concretamente?

Stiamo parlando in sostanza di come vogliamo salvare il mondo e attraverso quali azioni.  Nel 2015 ben 193 paesi membri dell’ONU (Italia in prima linea) hanno sottoscritto “l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile” [5] individuando in concreto 17 obiettivi chiamati SDG (Sustainable Development Goals):

  • Povertà zero;
  • Fame zero;
  • Salute e benessere;
  • Istruzione di qualità;
  • Uguaglianza di genere;
  • Acqua potabile e igiene;
  • Energia pulita ed accessibile;
  • Lavoro dignitoso e crescita economica;
  • Industria, innovazione e infrastrutture;
  • Ridurre le disuguaglianze;
  • Città e comunità sostenibili;
  • Consumo e produzione responsabili;
  • Agire per il clima;
  • La vita sott’acqua;
  • La vita sulla terra;
  • Pace, giustizia e istituzioni forti;
  • Partnership internazionale per gli obiettivi.

Sulla base di questi 17 obiettivi, ognuno è indotto a sviluppare gli indicatori più rilevanti per il proprio paese. Questo è stato il compito dell’ISTAT, che ne ha individuati 130, chiamandoli “indicatori BES” (Benessere Equo e Sostenibile) e accorpandoli in 12 categorie chiamate “dimensioni del benessere”:

  1. Salute
  2. Istruzione e formazione
  3. Lavoro e conciliazione tempi di vita
  4. Benessere economico
  5. Relazioni sociali
  6. Politica e istituzioni
  7. Sicurezza
  8. Benessere soggettivo
  9. Paesaggio e patrimonio culturale
  10. Ambiente
  11. Innovazione, ricerca e creatività
  12. Qualità dei servizi

Siete interessati al livello di salute, qualità dell’aria, relazioni amicali della vostra Regione?  Chiunque volesse controllare questi valori potrà facilmente accedere al sito ISTAT [6], visualizzare la mappa (in basso a destra) e selezionare la dimensione del benessere (dominio) e l’indicatore (alcuni in fase di sviluppo) e controllare il livello della propria Regione. Inoltre, per i più interessati, ogni anno l’ISTAT pubblica un rapporto sulla situazione globale del paese, anche questo facilmente consultabile [7]. Insomma, ognuno di noi, senza particolari competenze economiche, politiche, sociali o statistiche, può rendersi conto del proprio livello di benessere.

Le conseguenze globali, locali, sociali e psicologiche: responsabilità e consapevolezza

Partiamo dal livello più alto, quello globale: crescita economica e finanza. Investireste in un paese ricco, estremamente produttivo e con tassi di crescita elevati? Sicuramente sì. Ma se vi dicessi che in quel paese la crescita non è sostenibile e si rischia il depauperamento delle risorse naturali in qualche decennio (Brasile)? Se l’inquinamento fosse incontrollato e facesse così tante vittime da dover impegnare cospicue risorse in sanità nei prossimi anni (Cina)? Se il cambiamento climatico portasse a shock pericolosi per il sistema produttivo e ad una forte migrazione della forza lavoro (Africa)? Se le diseguaglianze elevate e le pessime relazioni sociali portassero a un basso livello di cooperazione e collaborazione in momenti di crisi, a forte instabilità e frammentazione politica o addirittura bancarotta (USA e Europa)? Se la democrazia e i diritti civili fossero compressi tanto da non permettere dinamismo e progresso socio-economico e culturale (Russia e Turchia)? Probabilmente cambiereste opinione o comunque valutereste in maniera differente, sicuramente più attenta, facendo di questi indicatori un elemento di influenza del sistema di finanziamento pubblico. Un paese che pratica sport è più produttivo sul lavoro e spenderà meno nel sistema sanitario, aprendo potenzialità di crescita ancora difficilmente incalcolabili. Un paese culturalmente attivo è capace di rigenerarsi, di creare e di uscire più facilmente da una crisi. Ci investireste?

Da un punto di vista locale(nazionale e regionale) l’influenza può essere legata direttamente alla nostra qualità della vita: domanda e offerta politica. Specialmente in Italia, le differenze territoriali non si riscontrano esclusivamente nei dialetti, nei piatti tipici, nei paesaggi e negli stili di vita ma in valori di qualità della vita spesso molto diversi. Perché dovrei votare questo o quel partito? Su cosa punta? Il problema che pone è reale o solo percepito? Ha lavorato bene? Ha migliorato questo aspetto del mio benessere? I cittadini avrebbero un mezzo facile e comprensibile per chiedere particolari interventi e valutare politici e amministratori, che sarebbero costretti (o almeno spinti) ad orientare le offerte politiche su dati reali non più complessi e di difficile analisi come PIL e spread.

Nell’ambito sociale sono due gli attori principali investiti da questo nuovo approccio: il produttore e il consumatore. Le imprese e gli individui. Entrambi sono sia l’uno che l’altro; ognuno di noi produce e consuma. Ogni individuo genera ricchezza e inquinamento, crea relazioni sociali positive o negative, sviluppa solidarietà o aumenta la criminalità, partecipa alla collettività o si lamenta sui social. Ogni impresa genera reddito, occupazione, ricerca e sviluppo, ma consuma risorse naturali e tempo libero degli individui.

Questo quadro fa sì che la “responsabilità sociale” che investe ogni soggetto debba essere rafforzata e resa accessibile a tutti non solo da un punto di vista soggettivo, ma anche scientifico, basato su dati facilmente reperibili. Imprese, grandi o piccole, che pensano di ottenere profitto puntando nella sostenibilità di lungo periodo del territorio in cui operano, non potranno non tener conto del loro ruolo attivo su questi indicatori. Così come gli individui, che progettano di stabilirsi e di spendere la loro vita in una determinata comunità, dovranno considerarsi attori responsabili dello sviluppo del proprio benessere, avendo ben in mente da che situazione partono. I BES potrebbero rappresentare una base comune, scientifica ed oggettiva sul quale circoscrivere le nostre azioni all’interno di una parola magica: “responsabilità”.

Infine, le conseguenze a livello soggettivo e psicologico: il benessere e i valori su cui poggia. Ogni dimensione del benessere racchiude in sé un valore. Educare ed insegnare, a partire dalle scuole, come sviluppare il nostro benessere e come tutelare i valori su cui esso poggia è un’occasione imperdibile per creare coesione sociale e stimolare creatività del pensiero in qualsiasi ambito (culturale, politico, sportivo, lavorativo, relazionale). Educare a comprendere dove il mondo stia andando e su quali obiettivi concreti il progresso è indirizzato, e comparare i nostri livelli di sviluppo agli altri, oltre a mettere le basi sul concetto di “cittadinanza globale”, otterrebbe un risultato psicologico e culturale che oggi sembra in pericolo: “la consapevolezza”. Consapevolezza del fatto che indici di benessere per noi irrinunciabili, per quanto relativi e migliorabili, in una società globalizzata estremamente fluida e dinamica, non sono affatto scontati e con poco potremmo perderli del tutto.

Note

[1] CNEL, “le dimensioni del benessere, costruzione e utilizzo di nuovi indicatori statistici a integrazione del PIL”, 2010;

[2] CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo), “Non solo PIL – il coinvolgimento della società civile nella selezione di indicatori complementari”, 2012;

[3] ISTAT, “Indagine conoscitiva sull’individuazione degli indicatori di misurazione del benessere ulteriori rispetto al PIL, 2012;

[4] Stiglitz, Sen, Fitoussi, “Report by the Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress”, 2009;

[5]www.unric.org/it/agenda-2030

[6] www.istat.it/it/benessere-e-sostenibilit%C3%A0/misure-del-benessere

[7] www.istat.it/it/archivio/207259

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