Ultimi sviluppi internazionali sul tema ambiente: luci e ombre

di Irene Pugnaloni

Settembre. C’è chi torna sui banchi. C’è chi torna a scioperare. No, non parliamo questa volta dei controllori di volo, dei casellanti o degli allevatori di capre – anche se certamente potremmo fare scuola in tema di astensione dal lavoro. Ci riferiamo

a quegli scioperi che hanno portato in piazza, ancora una volta con numeri da record, i giovanissimi per invocare un cambio di passo nelle politiche ambientali. I giorni passati sono stati forieri di un grande fermento transnazionale capitanato dall’ormai ubiquitaria Greta Thunberg: la maxi protesta giovanile, lo Youth Climate Summit, che ha fatto da antipasto al Climate Action Summit (CAS) del 23 settembre. Non è certo un caso che il CAS sia stato strategicamente posizionato nella giornata inaugurale della settimana che vede protagonisti alle Nazioni Unite i capi di Stato e di governo. Se è vero che in ogni singolo istante una costellazione di eventi più o meno significativi prende forma in ogni parte del globo, è altrettanto vero che “esistono” – e “resistono” all’ignoranza e all’oblio – soltanto quelli sui quali si accendono i riflettori, ossia quegli eventi che trovano un narratore che voglia riferirli: in quel 23 settembre gli occhi di tutto il mondo erano puntati sul vertice newyorkese sul clima. Il Segretario Generale dell’ONU Guterres già da settimane tuonava imperioso spronando i futuri avventori del summit a presentarsi con proposte concrete, azioni tangibili atte a rispondere sin da subito a quella che sempre più si profila come un’emergenza ambientale, data l’inazione che gli Stati hanno sapientemente ed efficientemente saputo adottare negli ultimi decenni. Un brillante esempio di efficace procrastinazione e talentuosa inerzia.

Prendiamo un dato su tutti che possa illuminarci sulle dimensioni del fenomeno del deterioramento dell’ecosistema globale. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) riporta i dati dal 1990 al 2017 sulle emissioni di gas serra legate alle attività umane[1]. Messa da parte l’Unione Europea che è riuscita nel complesso a contenere le emissioni e a ridurle leggermente, altre realtà hanno mostrato un’impressionante negligenza nell’attivare strategie di riduzione delle emissioni: al 2017, gli Stati Uniti si pongono con valori di emissioni superiori – seppur di poco – al 1990, con un decremento significativo che si è manifestato solo in coincidenza con la crisi economico-finanziaria del 2008. Stesso discorso per Giappone, Nuova Zelanda e Argentina. Una menzione speciale va, invece, riservata al Brasile e alla Cina, per i quali i dati sono meno costanti ma sicuramente molto significativi: nell’arco di appena un ventennio, il primo è riuscito a raddoppiare le emissioni (entrando così a tutti gli effetti nell’olimpo dei paesi che, simpaticamente, potremmo definire “campioni di gas serra”); la seconda ha stracciato tutti i competitori riuscendo a triplicare il valore di partenza, già tristemente impressionante, ponendosi, con i suoi 11 miliardi e rotti di tonnellate di CO2 e affini, in testa a tutte le classifiche mondiali di paesi-inquinatori, qualunque sia il metodo adottato nella rilevazione e qualunque sia l’organismo che la conduce.

Se volessimo avere un riassunto che, al semplice colpo d’occhio, ci fornisca la magnitudo degli effetti del flebile impegno degli Stati nell’adottare politiche ambientali serie, potremmo fare riferimento al rapporto pubblicato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale delle Nazioni Unite alle soglie del CAS, United in Science, e riportarne l’amara conclusione che il divario tra gli obiettivi prefissati e le policies effettivamente attuate per limitare gli effetti del surriscalmento globale è ancora troppo ampio e con molta probabilità all’origine di dati allarmanti quali, ad esempio, il record del 2% di crescita annuale di emissioni di CO2 e l’aumento di 0,2 °C della temperatura media globale nel periodo 2015-2019 rispetto al periodo 2011-2015. Sicuramente per alcuni scettici del cambiamento climatico, tutto ciò suona come l’ennesimo caso mediatico infondato – un esempio su scala italiana è il nostranissimo Vittorio Feltri che non risparmia stilettate sarcastiche all’eroina contemporanea Greta Thunberg soprannominandola “gretina” e che non perde occasione per ricordare a tutti che, bando alle fandonie sul riscaldamento del pianeta, è normale che d’estate faccia caldo [2].

Tuttavia, qualcosa sembra che stia davvero accadendo nella stanza dei bottoni. In Germania, la Grosse Koalition ha messo a punto un pacchetto salva-ambiente da 100 miliardi entro il 2030 volto, tra le altre cose, a promuovere l’energia pulita da fonti rinnovabili, a smantellare l’apparato carbonifero e nucleare, a incentivare il trasporto eco-compatibile e a sforbiciare le emissioni di anidride carbonica. India e Svezia hanno lanciato una nuova partnership pubblico-privata, il Leadership Group for Industry Transition, volta ad accelerare la transizione verso un modello industriale non più dipendente dal carbone. Le iniziative della società civile, come “Puliamo il mondo” promossa da Legambiente proprio negli scorsi fine settimana, registrano un boom di adesioni, stuzzicando l’interesse di giovani e giovanissimi che vogliono diventare protagonisti di una nuova sensibilità ambientale.

Dall’altra parte della barricata, però, troviamo minacciose nubi che si addensano sopra questi sviluppi incoraggianti. Quando, nell’era Obama, il governo federale degli Stati Unite impose vincoli sulle emissioni prodotte dalle auto tramite il Clean Air Act, lo Stato della California chiese e ottenne di mantenere la propria – più restrittiva – legislazione, risultata efficace nel contrastare l’annoso problema dell’inquinamento cittadino da smog. Nelle ultime settimane, il presidente USA ha avviato una controversa diatriba con la California andando, dapprima, a revocare questa maggiore libertà californiana di imporre standard più stringenti sulle emissioni e, successivamente, accusando il Golden State di non essere sufficientemente in linea con lo spirito del Clean Air Act [3]. Come a dire: ti metto in una competizione ciclistica, ti buco le gomme della bici e ti accuso di non riuscire a sostenere la gara. Ma anche nella metà inferiore del globo, resistono fulgidi esempi di pratiche altamente opinabili: alcuni osservatori, tra cui Greenpeace, hanno sottolineato come le centrali elettriche di alcune zone specifiche dell’Australia si siano rese responsabili di livelli di inquinamento da biossido di zolfo (S02) eccezionalmente elevati, tanto da classificarsi tra le località del mondo a maggiore impatto in termini di inquinamento dell’aria [4]. E delle auto che non rispettano le nuove normative vigenti in tema di emissioni che ne abbiamo fatto? A sciogliere il gravoso dilemma, soprattutto a seguito dell’ormai celebre scandalo Dieselgate, ci hanno già pensato gli illuminati del caso – Stati Uniti, Giappone, Cina e Germania in testa – iniziando a “riciclare” le auto inquinanti in Africa, che ha così iniziato a veder crescere il proprio contributo alla causa mondiale dell’inquinamento legato alle emissioni di autoveicoli [5].

Che cosa rimane, quindi, al termine di questa brevissima disamina? Rimane lo scetticismo, certo. Non quello di feltriana impronta sull’impatto delle attività umane sull’ecosistema, quanto, piuttosto, lo scetticismo circa il processo di evoluzione delle politiche attivate per contrastarne i deleteri effetti. Davanti a decenni di proclami su buone pratiche e obiettivi da raggiungere entro una certa data, ad oggi possiamo vedere come la questione ambientale sia ancora sottoposta alle pressioni congiunte delle dinamiche di palazzo e dei profitti aziendali, spesso e volentieri (se non addirittura, sempre) soccombendo dinanzi a queste ultime due forze centrifughe, le quali allontanano la metodologia della collaborazione pluridimensionale trasversale –  per realizzare policies concertate davvero efficaci –  in favore di un particolarismo egoistico del quale sconta la condanna la tutela dell’ambiente. Rimane da sperare che il CAS non rimanga ai posteri solo per le immagini di una infervorita Greta che grida ai leader mondiali “Come osate?!” ma perché abbia realmente svolto un ruolo cruciale nella svolta green dei governi e abbia alimentato l’interesse dei popoli sul tema ambiente.

[1] https://stats.oecd.org/Index.aspx?DataSetCode=AIR_GHG

[2] «Vittorio Feltri contro Greta Thunberg e i suoi seguaci: “Ragazzina antipatica che va protetta da se stessa”» di V. Feltri, Libero Quotidiano, 21 settembre 2019, https://www.liberoquotidiano.it/news/opinioni/13505968/vittorio-feltri-contro-greta-thunberg-ragazzina-antipatica-va-protetta-se-stessa.html.

[3] Alcuni riferimenti dalla stampa online per comprendere le vicende tra l’amministrazione Trump e lo Stato della California su questa tematica specifica: «Trump to Revoke California’s Authority to Set Stricter Auto Emissions Rules», di C. Davenport, The New York Times, 17 settembre 2019, https://www.nytimes.com/2019/09/17/climate/trump-california-emissions-waiver.html; «Clima, Trump revoca alla California il potere di imporre vincoli più severi sulle emissioni delle auto», Il Fatto Quotidiano, 18 settembre 2019, https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/09/18/clima-trump-revoca-alla-california-il-potere-di-decidere-sulle-emissioni-auto/5462286/; «Trump is weaponizing the EPA against California» di Z. B. Wolf, CNN, 24 settembre 2019, https://edition.cnn.com/2019/09/24/politics/california-trump-epa-threat/index.html; «Trump’s EPA attacks California with claim that state is lax on water pollution», The Guardian, 26 settembre 2019, https://www.theguardian.com/us-news/2019/sep/26/trump-epa-california-water-pollution-homeless.

[4] «Australian coal-power allowable pollution would be illegal in US, Europe and China – report», di M. Slezak, The Guardian, 14 agosto 2017, https://www.theguardian.com/environment/2017/aug/15/australian-coal-power-pollution-would-be-illegal-in-us-europe-and-china-report; «Australian power stations among world’s worst for toxic air pollution», di L. Cox, The Guardian, 19 agosto 2019, https://www.theguardian.com/environment/2019/aug/19/australian-power-stations-among-worlds-worst-for-toxic-air-pollution.

[5] «Is Africa becoming the world’s dumping ground for dirty diesel vehicles?» di S. Mbugua, Deutsche Welle, 27 luglio 2018, https://www.dw.com/en/is-africa-becoming-the-worlds-dumping-ground-for-dirty-diesel-vehicles/a-44833036; «Vecchie auto diesel: è l’Africa la nuova discarica del mondo?» di F. Paolini, La Stampa, 25 agosto 2018, https://www.lastampa.it/tuttogreen/2018/08/25/news/vecchie-auto-diesel-e-l-africa-la-nuova-discarica-del-mondo-1.34040756?refresh_ce.

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